Riepilogo Articolo - Luca Cazzaniga
Libri di fotografia Immancabili: La camera chiara Nota sulla fotografia. di Roland Barthes
Può un’immagine fotografica rappresentare la realtà oggettiva, o la realtà immortalata è solo una visione soggettiva di essa?
Il libro scritto da Roland Barthes non può e non deve mancare nella libreria di un studioso o di un cultore della fotografia. Tra le righe di questo libro troverete tantissime questioni e vari spunti di riflessione per indagare il rapporto tra realtà e immagine, tra noi e ciò che immortaliamo e, al contempo, tra noi e ciò che osserviamo.
Partendo dal principio, ossia analizzando il titolo dell’opera, la scelta di Roland Barthes di utilizzare tale titolo riporta alla mente la camera chiara, in italiano camera lucida, ossia uno strumento antecedente alla fotografia che permetteva di disegnare, mediante un prisma, avendo un occhio sul disegno e l’altro sul modello.
Tale scelta richiama sicuramente una duplicità nello sguardo, un’indagine sul modo in cui noi guardiamo e sul modo in cui l’obbiettivo della macchinetta fotografica guarda, sguardo oggettivo e soggettivo. La realtà viene immortalata così com’è, o come vogliamo noi? Oppure ancora, come vuole il dispositivo fotografico?
Nella teorizzazione portata avanti in questo libro di fotografia, Barthes si imbatte in un ulteriore elemento del linguaggio fotografico, già scoperto Benjamin sebbene ne avesse alluso senza averlo però mai nominato.
Punctum
Il “Punctum” è questo elemento, detto in maniera concreta, che rende tale foto diversa dalle altre. Il punctum è un qualcosa di non predefinito, qualcosa che non ha il fotografo quando scatta la foto, ma ci punge solo una volta scattata, un particolare che stupisce e rende unica la fotografia, quindi Barthes esamina una foto e ne cerca elementi che sollecitano lo sguardo nello spettatore.
Ora, ovviamente, si apre un’altra questione: il punctum è oggettivo o meramente soggettivo?
Viene quindi indagata la natura della fotografia e di ciò che ci stupisce, che ci cattura, che l’autore chiama punctum, il quale si contrappone allo “Studium”, ossia la parte che investe l’interessamento generale, la parte incurante dello spettatore il suo semi-volere.
Studium
Lo studium è la parte fotografica che richiede la preparazione culturale di chi guarda sul soggetto di quella foto. Questa parte informa, invoglia.
E allora Barthes pone l’equilibrio tra Punctum e Studium come il leitmotiv della fotografia.
Che cos’è, poi, la fotografia?
La fotografia, agli occhi e al cuore dell’autore, rimane inclassificabile e ogni classificazione di essa rima ne estranea all’oggetto in questione. La fotografia è unica, non si ripete mai, ogni foto fatta, anche se allo stesso punto e allo stesso modo, non sarà mai la medesima della precedente.
La fotografia si ripete meccanicamente ma mai esistenzialmente.
La fotografia ferma un’immagine di cui non siamo mai fermamente consapevoli, ci presenta un mondo che possiede una propria forza immaginaria, un qualcosa di più di quanto il fotografo volesse dire, che ci consegna una realtà più potente che il fotografo volesse consegnarci.
Questo viaggio nella luce impressa su pellicola, guidati dal nostro Virgilio/Barthes, ci mostra una fotografia tanto mezzo di espressione artistica, quanto documento storico. Le tappe di questo viaggio sono le digressioni che l’autore fa analizzando autori e fotografie di essi, nella sua camera chiara personale.
Robert Mapplethorpe, August Sander e Richard Avedon, sono alcuni dei nomi che appariranno tra le analisi effettuate da Barthes. In queste analisi definirà i ruoli della fotografia: operator, colui che fa la foto; spectator, colui che guarda la foto e che rientra negli utilizzatori del punctum e dello studium; spectrum, il soggetto immortalato.
August Sander, ad esempio, fotografò i volti anonimi ed impassibili della sua Germania, frontali e per lo più in piedi, in posa e consapevoli davanti all’obbiettivo. Qualsiasi tipo di persona, di qualsiasi rango e professione. Non sono figure che contengono elementi di straordinarietà, ma hanno qualcosa che colpisce lo spettatore, in qualche modo. Le sue foto mostrano qualcosa che demonicamente anticipa il futuro, ripete il passato, o emerge dall’inconscio. Questo è il punctum. O comunque questo è il punctum per Barthes.
La fotografia rimane, come ci dimostra Sander, l’incontro nello spazio reale tra un soggetto e l’obbiettivo della macchina fotografica. Un dialogo tra realtà e occhio del reale che imprime luce su pellicola, aprendo la strada a varie teorie e teorizzazioni sulla fotografia, su come essa “decide” di organizzare lo spazio. Molti credono che una macchina fotografica assecondi il fotografo, altri credono invece che essa organizzi in maniera inconscia lo spazio, catturando qualcosa che io, fotografo, non avrei mai visto.
Quindi il libro, cui ci si può avvicinare come saggio ma anche come romanzo sotto certi aspetti, si inserisce in quel filone nel quale si trovano i libri che rifletto, alla fine, sulla vita attraverso qualcosa che corre parallela ad essa. Tale lettura risulta essere fondamentale se ci si vuole addentrare nel campo della fotografia, sia come studioso, perfetto e fondamentale se si prepara una tesi sull’argomento, che come praticante di tale arte. Un libro che non può assolutamente mancare sugli scaffali della propria libreria se si è amanti della fotografia.
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